Dopo aver chiarito, nel primo articolo di questa mini-serie, che la riduzione del canone di locazione non comporta un obbligo di registrazione, affrontiamo ora un aspetto ancora più delicato: come dimostrare al Fisco che la riduzione è effettivamente avvenuta.
In questo secondo articolo analizziamo i criteri di prova, le sentenze della Cassazione più rilevanti e i limiti che il contribuente incontra quando manca la registrazione.
Quando l’Agenzia delle Entrate contesta la riduzione
La questione nasce spesso in sede di accertamento: il contribuente dichiara un reddito da locazione inferiore, sostenendo di aver concordato con l’inquilino una riduzione del canone.
Se però l’accordo non è registrato, l’Agenzia può ritenere che il canone originario sia ancora valido e recuperare a tassazione il maggior reddito.
È quanto accaduto nel caso analizzato dalla Corte di Cassazione (ord. n. 12081/2025):
un locatore aveva sospeso per alcuni mesi il pagamento del canone in virtù di una scrittura privata non registrata, ma l’Agenzia delle Entrate gli contestava il mancato versamento e calcolava l’imponibile sull’intero anno
Il cuore del problema: la “data certa”
La Cassazione ha ricordato che senza data certa, una scrittura privata non è opponibile ai terzi, e quindi nemmeno all’Amministrazione finanziaria.
L’articolo 2704 del codice civile consente di stabilire la data certa con la registrazione o con altri fatti “idonei” a provarne l’anteriorità (ad esempio, un atto pubblico, la morte del sottoscrittore o un evento documentato e oggettivo).
Nel caso in esame, il contribuente aveva prodotto:
- una dichiarazione extraprocessuale dell’inquilino,
- alcune ricevute di affitto con importo ridotto.
La Cassazione, però, ha ritenuto queste prove insufficienti, poiché provenivano dalle stesse parti del contratto e non avevano carattere oggettivo.
Insomma, non bastano buone intenzioni e fogli firmati: serve un elemento esterno che “fissi” la data dell’accordo nel tempo.
Il limite delle presunzioni e delle prove “deboli”
Un principio chiave ribadito dalla Corte (sentenza n. 21446/2023) è che non si può basare la prova solo su presunzioni o verosimiglianze.
Le ricevute o le dichiarazioni delle parti possono avere un valore indiziario, ma non sono sufficienti se manca un fatto obiettivo capace di collocare l’accordo in un momento certo e antecedente rispetto all’accertamento.
Il giudice può quindi valutare caso per caso, ma non può “supporre” la data: deve basarsi su elementi verificabili e indipendenti dal contribuente stesso.
La lezione della Cassazione
Dalle pronunce analizzate emerge una linea chiara che il contribuente non può ignorare.
La Corte ha stabilito che:
- La riduzione del canone può essere provata anche senza registrazione.
Tuttavia, questa possibilità è subordinata alla presenza di fatti esterni e oggettivi che attestino in modo certo la data dell’accordo. Non basta il consenso tra le parti: serve un riscontro verificabile che confermi l’anteriorità della scrittura rispetto alla contestazione fiscale. - Devono esistere fatti “idonei” a stabilire l’anteriorità del documento.
Tra questi possono rientrare la firma digitale con marca temporale, la trasmissione via PEC certificata, o l’inclusione della scrittura in un atto pubblico. Tutti strumenti che fissano la data in modo certo, indipendentemente dalla volontà delle parti. - Le prove provenienti dalle parti non hanno valore oggettivo.
Dichiarazioni del conduttore, ricevute di pagamento o scritture private prive di certificazione non sono sufficienti da sole, perché non garantiscono un elemento di terzietà. La Cassazione ha più volte sottolineato che il giudice può valutarle, ma solo come indizi da affiancare a prove certe e indipendenti. - Il giudice valuta caso per caso, ma con limiti precisi.
La valutazione discrezionale del giudice deve sempre poggiare su elementi obiettivi, non su mere supposizioni. Le presunzioni o le coincidenze temporali non bastano se non esiste un fatto concreto che renda inequivocabile la data della scrittura
In sintesi: la riduzione del canone senza registrazione non è vietata, ma è rischiosa se non accompagnata da prove forti, verificabili e non manipolabili.
Conclusione
L’assenza di registrazione non è un problema in sé, ma può diventarlo quando il Fisco chiede conto della riduzione del reddito dichiarato.
Per evitare contenziosi, è fondamentale dare certezza alla data dell’accordo — con una registrazione volontaria o con prove oggettive che ne dimostrino l’anteriorità.
Nel terzo e ultimo articolo di questa serie vedremo gli strumenti pratici per tutelarsi e come impostare correttamente una riduzione del canone che resista a eventuali controlli.
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